In Italia i malati di Alzheimer sono circa 900mila. L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) prevede che i malati raddoppieranno nel giro di due decenni. Chi è malato non può saperlo perché i sintomi appaiono solo dopo quindici o venti anni, ovvero quando la malattia ha già distrutto la maggior parte dei neuroni.
Con la diagnosi precoce e la prevenzione si può intervenire per tempo, applicando opportuni stili di vita e praticando un protocollo di allenamento del cervello
Quel che più conta al giorno d’oggi è riuscire ad effettuare una diagnosi precoce, in modo da cominciare a gestire la malattia il prima possibile.
L’Alzheimer è una malattia silente, che non dà sintomi però lavora per dieci, quindici anni distruggendo i neuroni. I sintomi appaiono quando la stragrande maggioranza dei neuroni sono andati persi.
L’obiettivo dello studio è mirato ad individuare le persone a rischio prima che sia troppo tardi. In questo modo si cerca di recuperarli tentando di salvare anche la cosiddetta “riserva cognitiva” del cervello, attraverso la quale si può rallentare la patologia e consentire alle persone a rischio di vivere alcuni anni in più in maniera autonoma, serena e dignitosa. Il protocollo che ha fatto il professor Maffei al CNR si chiama “Train the brain”: il cervello è un organo come tutti gli altri, e se lo si tiene allenato funziona bene, resta tonico e si tengono lontane le patologie. Insomma, così come le persone vanno in palestra a mantenere i muscoli in allenamento, lo stesso può essere fatto con il cervello.
Purtroppo siamo ancora in un periodo storico in cui la gente pensa che se si ha un problema al cervello non ci sia più niente da fare.
Questo non è vero: oggi c’è la possibilità di intervenire, accorgersene per tempo e rallentare l’avanzamento della patologia.
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6 Giugno 2016