Uno dei mille pensieri assillanti, in mezzo a tante elucubrazioni sconnesse, è stato: perché proprio a me?

Non bastava il dolore causato dalla loro perdita, sommato alla stanchezza generata dalla lunga degenza ospedaliera?

Forse siamo come palafitte. Poggiamo delicatamente sui nostri cari e quando vengono a mancare, uno dopo l’altro, senza avere il tempo di metabolizzare il lutto, è naturale che la nostra stabilità vacilli.

Alcuni affermano che le difficoltà della vita ti dovrebbero temprare e aiutare ad affrontare le nuove avversità offerte su un piatto d’argento: ma non è sempre così.

Alla prima crisi di panico, durante la cerimonia di commiato del babbo, sono uscito a prendere una boccata d’aria. Faceva caldo. Eravamo nel mese di luglio e non le ho dato molto peso, perché in quelle giornate frenetiche avevo altro cui pensare. Poi però se n’è presentata un altra e un’altra ancora, di giorno, ma soprattutto la notte, quando mi svegliavo spaventato e in preda alla tachicardia. Così il mio calvario ha avuto inizio, perché se la paura prende il sopravvento, tu smetti di vivere, smetti di respirare, convinto che ci sia qualcosa di sbagliato nel tuo corpo o nella tua psiche. Ogni giorno diventa una montagna ripida da scalare, un labirinto privo di uscita, una serie di sfortunati eventi, i quali causano una tremenda angoscia difficile da spiegare a chi non è mai inciampato nelle pieghe della sua anima.

Naturalmente non ho perso tempo. Conosco le limitazioni che implica tale malattia, giacché di malattia si tratta, anche se molti non lo vogliono ammettere e preferiscono conviverci trascinandola ovunque come se fosse un carro pieno di stracci, così ho provato ad affrontarla da solo utilizzando alcuni rimedi naturali, ma la paura, anzi, le cupe ossessioni legate alla mia salute e a quella di chi avevo accanto non passavano: ecco perché durante l’ultima crisi acuta ho deciso di rivolgermi a uno specialista.

Se dici a qualcuno che vai dallo psichiatra, immediatamente scatta una sorta di diffidenza nei tuoi e nei suoi confronti, perché la gente, in preda ai soliti luoghi comuni, pensa immediatamente alla follia e invece non è così: quando hai un problema al cuore, non ti rivolgi forse a un cardiologo? Perciò è naturale consultare uno psichiatra (o uno psicologo) se invece è la testa a fare i capricci.

Ricordo ancora il nostro primo incontro. La dottoressa da subito ha mostrato un’umanità, una determinazione e una capacità di ascolto che per tutto il tempo della seduta sono riuscite a smorzare i miei tormenti interiori, riportando alla luce quella razionalità subdolamente interrotta dalle crisi di panico.

Poi sono seguiti altri incontri e naturalmente una terapia farmacologica mirata veramente efficace, la quale si è protratta per circa un anno. Certo all’inizio ero molto titubante. Temevo che la chimica mi togliesse definitivamente la lucidità ma così non è stato e anche in quel caso le chiare spiegazioni della dottoressa mi hanno convinto della sua necessità.

Da più di un anno ho interrotto la cura. Pratico quotidianamente lo Yoga in una scuola vicino a casa e il mio respiro, da fonte di stress si è tramutato in uno strumento di serenità e meditazione.

Con la dottoressa sono rimasto in contatto e anche se non ne ho avuto più bisogno, so che in lei troverò sempre una persona disposta ad aiutarmi e soprattutto ad ascoltarmi.

Un grosso grazie quindi al personale del HTC di Stradella e soprattutto alla dottoressa Silvia Campetella.

SHANTI      SHANTI      SHANTI

Daniele A. Bianchi


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  Categoria: Storie di Sanità
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  28 Gennaio 2019

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